E’ la fatica di scendere a patti con i pensieri, prendersi l’impegno di legarli, concordarli, renderli coerenti, paragonata alla piacevole leggerezza di un flusso di coscienza dove le parole danzano e si mischiano. Eppure questi racconti non se ne vanno mai via, aspettano di essere riprodotti in una forma stabile. Che io li partorisca.
(allora era una stanza in Scozia, ora è una stanza a Roma. Dove c’è un cielo con nuvole, e un mandorlo in fiore, e un palo in mezzo. Mentre in questo luogo di bit, dove non torno mai, posso fuggire sapendo che oramai nessuno sa che può trovarmi qui, e posso sentirmi un segreto sussurrato in un buco della parete)
In un’epoca fatta di immagini io ho inseguito le cose che mi si ponevano sotto gli occhi, le ho inseguite per nutrirmene e trovare il senso in quell’emozione dello scorrere delle cose, e io stessa ho sognato di diventare immagine in movimento. E credo di aver capito qual è il mio dolore segreto, che come un incantesimo so vedere tutta la bellezza che c’è, e mi ci appoggio come sulle onde del mare, ma io, io no, non ne faccio parte, entro il perimetro della mia persona stava tutta la mia confusione, la meraviglia era solo fuori, l’avverto, la respiravo, ma non ero io, io non ero l’immagine che sempre mi emozionava.
Ehi, ciao.